venerdì 16 marzo 2012

Cara Susanna (all'incirca quello che le ho detto sul serio)*


La prima volta che ho avuto a che fare con il sindacato avevo un problema con un contratto coco e non mi ricordo più cosa. Eravamo in diversi e fu molto  surreale.
“Potete dimostrare di avere orari di lavoro da rispettare?”
“no, ma ci sono delle cose che…”
“Potete dimostrare di usare gli strumenti del datore di lavoro?”
“no, ma ci sono delle cose che…”
“ma davvero non avete orari?”
“No, ma…”
Ecco, in quella conversazione sta molto di quello che viviamo oggi e che porta tanti a dubitare della forza che può avere anche per noi un sindacato, e molto di quello che ho vissuto negli anni seguenti.





Perché viviamo in questa contraddizione di dover essere schierati: i precari o vanno regolarizzati, o sono veri liberi professionisti, quelli cattivi, come dentisti che non fatturano e scaricano le spese del cavallo.
Io, che da quando ho iniziato a lavorare ho avuto tutti i contratti possibili tranne l’indeterminato, non mi sento da nessuna delle due parti. Mi sento, e tanti con me, nel mezzo. 
Tra quelli che fanno lavori “strani”, nuove professioni che vivono fuori dalla logica capitale/lavoro come la intendevano i nostri genitori e i nostri nonni. Che magari non hanno orari fissi, ma non sono nemmeno veri liberi professionisti. Nuove professioni, spesso altamente qualificate, per cui servono risposte. Che hanno bisogno di qualcuno che se ne prenda cura.
Perché il problema è anche politico: il sogno dell’operaio che vuole il figlio dottore rischia di infrangersi nel momento in cui quel figlio, che con tanti sacrifici è riuscito a laurearsi, deve scontrarsi con un ingresso nel mondo del lavoro, o con un lavoro stesso, fatto di pochissime tutele, in fatto di diritti sindacali, ma anche di welfare. E allora il problema diventa quello della mobilità sociale: alla precarietà senza tutele resiste solo chi ha le spalle coperte, o chi sceglie di dedicarsi solo al lavoro, di non uscire di casa, di rimanere figlio. 
E per noi donne il problema è + drammatico, perché la scelta la viviamo sul nostro corpo: il corpo delle donne a cui è chiesto di scegliere tra il sogno del lavoro che piace e la maternità. Fermo restando la libera scelta e il diritto a non voler essere madre, ci è chiesto di scegliere. 
Io mi sono rifiutata di farlo, ho scommesso, ci ho provato: il lavoro che mi piaceva e la voglia di un figlio. Il momento + duro è stata la sensazione di solitudine, una pancia enorme, un dottorato da portare avanti, contratti cococo, e nessuna risposta. 
Era appena uscito il pacchetto welfare del governo prodi e mi son trovata a leggere stralci dello stesso agli impiegati dell’inps. Ho trovato sostegno e appoggio nel coordinatore del nidil di Prato: anche lui lì da poco, insieme abbiamo studiato, capito, costruito un patrimonio per le donne che dopo di me si sono trovate a fronteggiare la gestione separata e la maternità. 
Oggi sono di nuovo qui, partita iva, così folle da pensare di volere un secondo figlio e a scoprire per caso che noi non abbiamo i congedi parentali, unica categoria che paga l’inps e non li ha. Di nuovo nidil, di nuovo un percorso di scoperta, studio, interessamento. Due giorni fa sono stata dalla consiglierà regionale di parità. Son tutti d’accordo: è una discriminazione vera e propria, una norma totalmente anticostituzionale. 
Ma quel che fa + male è che nessuno ad oggi ne abbia mai parlato. 
Questo è quello che chiedo alla cgil: non una delega un bianco, non un generico “pensate anche a noi”, quanto un PARLATENE. Parlate anche di noi che viviamo in questo limbo, cercate di fare uno sforzo per vedere il nostro punto di vista, l’idea che anche se non saremo mai tempi indeterminati, siamo comunque una categoria di lavoratori subordinati. 
Nuovi strumenti, nuove sfide. 
Anche mediatiche, perché articoli come questo di Mentana a me fanno male: rispondendo ad una precaria dice Ma voi le nozze gay le negoziereste col vaticano?. Ecco, io non credo che la Cgil sia il vaticano dei diritti. Credo che dentro abbia la forza, le risorse e anche il coraggio di guardarci in faccia. 
A partire dalla discussione sulla nostra rappresentanza. 
Da me lavorano circa 200 persone (ente in house di un ministero). Per le rsu potevano votare in 20 (comandati). La cgil ha proposto di far votare anche cococo e p.iva: un grande segnale, che però ha bisogno di risonanza, altrimenti l’immagine che passa è sempre quella di una disattenzione nei confronti di quei precari professionalizzati che non saranno mai assunti, ma non potranno e non vorranno nemmeno mai dedurre il cavallo dall’irpef. 
Non credo che il mercato del lavoro di oggi ci permetterà di essere assunti e anche se fosse, nel frattempo voglio vivere, adesso. 
E mi vengono i brividi a pensare che una scoperta bellissima, come quella di poter congelare gli ovuli in caso di cure che produrranno sterilità possa diventare, come ho letto, la soluzione per essere madri quando ci saranno le tutele per permetterselo.
Io voglio vivere, adesso.
Voglio che il sogno di quell’operaio sia, come nei paesi scandinavi, di avere la figlia dottoressa. E nel frattempo, pure di poter diventare nonno.

*All'iniziativa della CGIL che c'è stata oggi a Firenze.
Se riesco a parlare anche con la Fornero posso chiudere il blog!

2 commenti:

  1. e penso che ne abbia fatto tesoro!

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  2. Ogni volta che penso a come conciliare lavoro e maternità mi viene da piangere. Non voglio fare la melodrammatica, ma la realtà è una ed una sola: ci viene chiesto di fare figli, ma non ci viene data la possibilità di farli crescere al meglio, men che mai se osiamo pensare ad un lavoretto part-time/precario/quando capita capita.

    Alle donne viene chiesto il doppio, il triplo rispetto agli anni cinquanta, ma in quanto a supporto e servizi viene offerta la metà (neanche le colonie estive per i figli dei dipendenti ci sono più o quasi e l'infermeria a scuola o il cinema gratis la domenica pomeriggio)

    Io e il mio compagno viviamo in campagna (luogo ideale per crescere dei figli liberi e sani), lontani dalla città e anche lontani dai nonni, zii e cugini. Non possiamo permetterci una baby-sitter e quindi la soluzione è sempre quella: uno dei due deve restare a casa. Il mio compagno ha un lavoro fisso da molti anni, io ho lavorato tanto, ma con contratti sempre "determinati" e quindi la scelta è stata ovvia.

    Ho pensato di riprendere in mano le redini dei miei studi da alcuni mesi, per impegnare almeno il cervello in un lavoretto che sento mio (a partita IVA ovviamente), in base agli orari in cui mio figlio è a scuola. Ora sta arrivando il secondo, dopo mesi di "e ora che faccio? Ne voglio un altro, ma il lavoro?" e quindi devo richiudere la parentesi lavorativa, per poi forse riaprirla fra qualche anno quando e se ne avrò la forza.

    Tante e tante volte io e mio marito (non siamo sposati ma ci chiamiamo marito e moglie lo stesso), ci siamo detti: con uno stipendio non ce la facciamo. E allora via con l'illusione di poter tornare a lavorare per qualcuno, anche poche ore al giorno e poi scontrarsi con i soliti problemi: niente nonni, niente baby-sitter = orario limitato. Chi potrebbe assumere una mamma in grado di lavorare solo poche ore al giorno e sempre allo stesso orario? Nessuno e li capisco anche. Se ci fosse anche solo un po' di supporto, dei corsi extra scolastici offerti dalla scuola o dal Comune a prezzi accessibili, del sano sport per bambini che non appiattisca da solo uno stipendio intero, sarebbe molto più facile. Sembra nulla ma è tanto tanto. Quel poco che c'è o costa tanto o lo organizziamo noi genitori impedendoci quindi di pensare al lavoro. E ancora più triste è la situazione di quelle famiglie in cui lavorano entrambi i genitori (sempre lontani dai nonni) i cui figli sono sballottati come profughi senza una terra. Inutile dire che uno dei due stipendi serve a sovvenzionare gli sballottamenti che ovviamente costano e anche caro.

    Come non capire gli amici (la gran parte, almeno nel mio caso) che non hanno ancora trovato il coraggio di pensare ad un figlio, quando spesso lavorano senza essere pagati? Se poi aggiungiamo anche quello che hai scritto nel post dopo questo e cioè il martellamento e il terrorismo psicologico su quanto costa mantenere un figlio nel primo anno di vita, il quadretto è completo.

    Arianna C.

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